martedì 14 febbraio 2017

LA CARTA DEL POZZO


La STORIA del pozzo ci consegna l’esperienza della caduta in esso, del contatto con l’acqua profonda e della scoperta di percorsi all’interno, che ci consentono di tornare in superficie con nuove vitalità, arricchiti dal contatto con le risorse sotterranee. 
La CARTA del pozzo, sulla quale ora stiamo indagando, con intenzionalità precise e storie inattese, si arricchisce di ulteriori significati, proprio mentre stiamo lavorando sul concetto di TEMPO. 



La sincronicità ci guida e troviamo sul libro Vocabolario, di Igor Sibaldi, filosofo e scrittore, sotto la voce ETERNITÀ, una immagine che esprime un tempo circolare e concentrico nel quale la mente si può spostare a suo piacimento, rendendo possibile la percezione del tempo lineare e dell’atemporalità. 
"... Quanto più riusciamo ad avvertire il nostro presente come eterno, tanto più i limiti si dissolvono in ogni direzione..."




 
E poco dopo ricordiamo il quadro Ascesi all’Empireo di Hieronymus Bosch, pittore olandese del 1400, e proviamo l’incantamento che le opere d’arte sanno suscitare, quando le loro vibrazioni risuonano con parti di noi e svelano ciò che le parole e le nostre menti ancora non sanno dire. 


3 commenti:

  1. Un pozzo che diventa il passaggio per l'empireo... Una carta di dolore che semplicemente sa dire altro. Anche altro.
    Grazie per permettermi mai di stare fermo...
    Federico

    Il bambino e il pozzo

    Damiano era un bambino curioso. Curioso e solitario.
    Era un bambino solitario e curioso che non si sentiva mai solo. Agli altri bambini del villaggio che gli chiedevano perché non si unisse mai alle loro avventure, Damiano rispondeva semplicemente: «Mi basto.»
    Di fonte a una simile, ostinata e ripetuta risposta, la pazienza dei bambini del villaggio, poco alla volta, si arrese e, così, smisero di fargli domande e di invitarlo a giocare con loro.
    Damiano ne era sollevato. Aveva tutto il tempo che gli serviva per andare nei boschi in cerca pigne e cortecce dalle forme bizzarre, per raccogliere la resina di larici e degli abeti e collezionare tutti i tipi di foglie e di fiori che gli capitava di trovare sul suo sentiero, un sentiero che percorreva tutti i santi giorni e che lo portava dalla sua piccola baita in cima alla vallata fino al villaggio dove c’era la scuola che frequentava.
    Gli piaceva esplorare il bosco: quello era per lui la sua seconda casa, ne conosceva ogni anfratto, ogni pendio, ogni sorgente e ogni insidia. Con il passare degli anni, però, Damiano aveva imparato anche a conoscere il villaggio: i fienili abbandonati, la casa diroccata vicino al lavatoio, le cantine dei pastori, le dispense dove in inverno si custodivano salumi e formaggi.
    Tutto lo incuriosiva. E il motivo era semplice: ogni scoperta, ogni avventura gli raccontava qualcosa di se stesso, del suo destino. Del suo passato, ma anche del suo futuro. Soprattutto del suo futuro.
    Gli occhi di Damiano erano avidi di forme e di colori, le suoi orecchie di suoni e di rumori. Tutto gustava, tutto respirava: il vento e la neve, le bacche e i fiori, l’acqua delle fontane e il miele.
    Non amava, invece, le parole. Quelle, secondo lui, erano usate dagli uomini per confondere e ingannare i bambini. Damiano credeva che il mondo non avesse bisogno di essere spiegato e nemmeno raccontato: la sua bellezza, la sua magia erano talmente evidenti che non necessitavano di inutili parole…

    RispondiElimina
  2. …Arrivò un giorno, però, in cui Damiano non poté sfuggire al fascino e al potere delle parole.
    Era una sera di maggio quando, mentre girovagava senza meta tra le tombe del piccolo cimitero disteso intorno alla chiesa, udì due vecchie che parlavano di un pozzo. “Il pozzo delle anime perdute” gli sembrò di udire, mentre se stava nascosto dietro una grande lapide di pietra.
    “Il pozzo dei dannati”, disse una delle due donne, facendosi il segno della croce, “il pozzo dei segreti”, aggiunse l’altra, portandosi una mano sulle labbra e l’altra al cuore.
    Damiano conosceva quel pozzo. Lo conosceva da sempre. Avrebbe voluto dire alle due vecchie che si sbagliavano, perché lui conosceva quel pozzo e sapeva bene che esso non custodiva misteri, dannati né tanto meno anime perdute. Però, tacque. Perché un segreto, a dire il vero, c’era. Più che un segreto si trattava di un enigma, un enigma che aspettava soltanto di essere sciolto. Tacque, però, perché non avrebbe avuto parole per raccontare il segreto che il pozzo custodiva. Una segreto alla portata di tutti gli abitanti del villaggio, eppure un segreto che nessuno osava cercare di svelare, tanto le parole degli uomini, nel corso dei secoli, gli avevano creato intorno una ragnatela di edera, una gabbia di bugie che lo avevano trasformato in ciò non era: “il pozzo dei dannati”, “il pozzo delle anime perdute”.
    Il mattino seguente, prima del sorgere del sole, Damiano si avventurò nel bosco di querce alle porte del villaggio. Dopo pochi minuti di cammino, trovò la radura dove sorgeva il pozzo. Il suo pozzo. Con la carrucola fece salire il secchio, lo svuotò dell’acqua e, piccolo e minuto com’era, vi si sedette a cavalcioni.
    Con un fragore di ferraglia il secchio iniziò a scivolare nel vuoto, nel buio. Damiano sentiva i suoi capelli danzare nell’aria umida e pungente, spettinati dalla velocità di quella lenta corsa verso il fondo del pozzo. La lanterna che stringeva al petto illuminò in un baleno le pietre levigate e i muschi che tappezzavano il condotto del pozzo, disegnando bizzarre forme di creature magiche e fiori sconosciuti.
    Damiano aveva imparato a conoscere ogni singola pietra di quel pozzo, ogni spiraglio, ogni fessura. Anche le volte in cui la fiamma della sua lanterna si spegneva per la velocità, lui non aveva paura. Non aveva paura perché sapeva che, arrivato alla fine della discesa, avrebbe trovato un’altra luce. Sì, un’altra luce. Una luce in fondo a un pozzo. Proprio così.
    Una luce capace di capovolgere il mondo.
    Un mondo capovolto. Era questo che c’era in fondo al pozzo. Oltre al pozzo. Un mondo che spuntava dall’altra parte del mondo, nell’emisfero che gli abitanti del villaggio pensavano inondato dalle acque e popolato da animali mostruosi. Invece c’era altro. E questo altro era talmente altro che Damiano sapeva che non avrebbe mai trovato parole capaci per raccontarlo alla sua gente.
    Già, le parole. Limitate, ingannevoli e fraintendibili. Così bugiarde e fallaci che gli esseri umani si erano inventati mille lingue, mille modi per dire la stessa verità. Invece, questo mondo oltre al pozzo era così… era talmente… era semplicemente… era immensamente… Altro. Altro.
    Damiano non capiva perché gli uomini avessero paura del pozzo, perché non volessero vedere la meraviglia che custodiva sul suo fondo, perché preferissero parlarne male piuttosto che conoscerlo, piuttosto che ascoltarlo. Tutte queste domande, questi dubbi, queste parole svanivano, però, ogni volta che Damiano entrava nel mondo capovolto oltre il fondo del pozzo.
    Lì non aveva bisogno di tutto questo.
    Lì non aveva bisogno di nulla.
    Lì non aveva bisogno.
    Lì non aveva.
    Lì.
    Federico, febbraio 2017

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ancora un’altra storia sulla carta del pozzo, a mostrare quante e diverse possono essere le suggestioni…

      Titolo: l’ipomea nel cosmo

      Dopo tanto tanto tempo la luce del sole era penetrata nel tunnel. Era uno strano tunnel, sospeso nel vuoto, il suo asse creava una rotazione in esso, ma l’orientamento lo poneva in congiunzione al sole. Se si fosse guardato verso l’entrata del tunnel, si avrebbe avuto il sole in viso, ma, proprio per questo, l’interno del tunnel non era visibile, sembrava solo un immenso buco nero.
      L’universo pulsante trasmetteva vibrazioni a ogni pianeta e questo movimento andò, piano piano, a modificare l’inclinazione dell’asse del tunnel e così, dopo tanto tanto tempo, il sole si trovò a illuminare di sbieco l’interno del tunnel e tutto cambiò.
      Quella luce calda e dorata si avventurò tra le pieghe curvilinee del tunnel, cancellò il buio fino a raggiungere il punto finale. Lì apparve una immensa luce blu. Tutti gli altri colori erano stati trattenuti sul fondo, tutti tranne quel blu radioso e potente che si manifestò in tutta la sua bellezza. Un blu che pareva contenere in sé anche delle gocce d’acqua poiché, un giorno, da esso nacque un germoglio che, seguendo i raggi del sole, cominciò a crescere e a percorrere il tunnel fino a uscirne.
      Quel giorno fu memorabile, poiché la giovane rampicante si ritrovò libera e non più costretta in una cornucopia limitata. La pianta conobbe l’aria e conobbe il cielo e si lasciò scaldare dal sole e tutto l’universo ne gioì, come per una nuova nascita.
      Là, negli spazi stellari di fuochi e terre, minerali e acque nacque la prima pianta.
      Con il tempo sarebbe poi anche sbocciato un fiore: una ipomea azzurra, nei cui petali si poteva intravedere la forma di un tunnel, un luminosissimo tunnel azzurro sul cui fondo brillava il sole nascente.

      Elimina