martedì 11 aprile 2023

NARRARE

Chi ha avuto voglia di leggere le storie dei ritorni del Giocatore ha potuto comprendere come le energie interiori possano attraversare momenti complessi e difficili. Ripristinare il contatto con il passato dando completamento ai progetti sopiti, lasciar andare parti di noi, anche se ci creano solitudine, affondare nella ricerca, nelle esperienze, nella fragilità... tutto va esplorato e rielaborato, senza fretta e senza reticenze. Le storie ci aiutano in questo percorso, ci fanno accogliere e rimodellare l’invisibile, danno movimento ai pensieri e trasformano le emozioni. L’invito del Giocatore è sempre questo: accogliere il sentire, portarlo alla luce, creare movimento e incontrare il cambiamento. Non ci stancheremo mai di ricordarlo, anche adesso che molti terapeuti e scrittori riconoscono nella narrazione uno straordinario processo di conoscenza di sé e guarigione.

venerdì 7 aprile 2023

RITORNI 4.6

Il Giocatore aveva ultimato il suo viaggio, incontrando e domandando, aveva raggiunto il costruttore di archi, di cui tanto gli avevano parlato. Aveva capito dal suo sguardo e dalle sue mani perché fosse tanto abile. Anche il suo silenzio aveva parlato. Non aveva domandato, non aveva spiegato. Si era seduto accanto a lui e aveva cominciato a osservarlo. Dopo molti giorni aveva cominciato a cogliere alcuni passaggi di quell’arte antica e preziosa, e l’uomo aveva cominciato a indicargli oggetti da portargli, aveva nominato gesti e creazioni. Altri giorni erano passati, il costruttore aveva cominciato ad affidargli piccoli compiti, gli aveva mostrato i legni migliori e quelli più particolari. Gli aveva insegnato la scelta delle corde, le fibre del lino, i tendini delle gazzelle. Il Giocatore imparava e si appassionava, comprendeva i segreti dell’accumulo dell’energia potenziale, sotto forma di energia elastica, grazie alla deformazione dei flettenti. E poi il rilascio della corda, l’energia che diventa movimento. La trasformazione e le dissipazioni. Non si accorse di aver costruito un arco completo, fino a quando il costruttore non gli sorrise. Era così immerso nel suo compito da dimenticare ogni pensiero, ogni ricordo, ogni mancanza. Persino quella di lei. Quel sorriso lo riportò nel presente, facendogli sentire una gioia pungente e umida. Facendogli pensare a lei. Imbracciando l’arco, prese congedo, lasciando gratitudine. Tornò verso casa. Il profumo del fuoco lo raggiunse per primo, poi la sagoma della casa, nelle luci della sera, guardò dalla finestra e la vide appisolata sul tappeto. L’emozione gli impedì di entrare nella stanza. Si allontanò fra gli arbusti, fu così che vide i mandala appesi. Fu così che seppe e riconobbe. POI... Mi sono svegliata all’improvviso, ho aggiunto della legna al fuoco. Sono irrequieta, eppure non ci sono indizi o segnali di altro. Eppure... Un lieve suono ha pervaso la notte, fischietta sempre così il Giocatore quando si avvicina... si avvicina... Ho spalancato la porta e il cuore. Ci siamo stretti ridendo, frugando fra le labbra e le vesti. L’amore è così... sempre. Abbiamo parlato solo al risveglio, la giornata era fredda e limpida. Ho guardato. Ho visto. Il suo dono. Ho preso la faretra e le frecce e sono corsa nel gelo. Lui sorrideva nell’abbracciarmi, mentre impugnavo l’arco, ne percepivo la flessibilità e la forza. Una due tre... tante frecce scoccate con precisione e impeto, nella gioia di percepire una abilità inattesa e voluta, fortemente. Siamo rientrati con le dita gelate e la luce negli occhi. Mille progetti sono nati in noi. Ora avevamo tutto. Avremmo scoccato le frecce. Centrato in nostri bersagli.

martedì 21 marzo 2023

RITORNI 4.5

Quando mi sono svegliata, il giorno era già caldo, un profumo nell’aria, un messaggio in arrivo, una lettura.. un po’ più in là. Ho preso i fogli e mi sono messa a disegnare. Uno due tre... quanti... uno dopo l’altro i fogli si riempiono di segni e di colori, mandala che sorgono uno dall’altro, mandala nei quali tuffare i pensieri che non vengono, le emozioni che non posso fermare. Ho appeso i fogli ai rami degli arbusti, qui non ci sono alberi, quegli alti alberi delle foreste, qui ci sono arbusti: rododendri incendiati di sole a luglio, more e olivelli spinosi, filadelfi e lillà. Chiameranno a casa il mio Giocatore? Li vedrà dall’alto, quando la sua mente percorrerà la nostra casa cercando le tracce della mia presenza? Mi manchi. I disegni hanno tradotto l’anima in segni e colori, tutto è davanti a me, tutto è dentro, insieme al ripercorrere e all’immaginare. I disegni sono diventati bersagli per il battito del cuore, bersagli per i ricordi e i sogni, per le paure mai superate, i blocchi che chiudono lo sguardo. L’amore. Ho centrato anche l’amore, disegnando il piacere e la pelle, il silenzio e i baci, l’invisibile e l’atemporale. L’ho centrato, in un foglio rosso e arancione, lo sfondo blu come il mare. Le frecce sono sempre qui, le accarezzo e le ripasso, nella struttura e nelle potenzialità, mentre il volto del Maestro sorride in un angolo di me e a volte compare all’inizio del sentiero, sulla collina. Così il completamento e l’attesa. L’alchimia. Oggi sono stata sulla riva del lago. Non ero sola. Il mio corpo ha cominciato a muoversi , la gamba destra in avanti, il ginocchio piegato, il piede sinistro rivolto verso l’esterno. Il braccio teso, il pollice all’altezza degli occhi. Il Maestro è entrato in me. Oh... la bellezza. Ho sentito fibre e nervi, ossa e muscoli, sangue e respiro. Ho sentito tutto. Tutto ciò che lui sentiva, che mi mostrava con pazienza e dolcezza, imbracciando il suo arco antico. Ne ho visto i flettenti con aggiunte di corno, la corda elastica e forte, ne ho percepito l’energia trattenuta e rilasciata. Sono caduta a terra. Quando ho riaperto gli occhi, le stelle erano semi brillanti dentro il cielo. Torno ogni mattina al lago, voglio che il Giocatore mi veda lì, quando arriverà. Voglio che distingua la mia linea sottile che si muove, voglio che si domandi se sto danzando sulla rugiada, che capisca, poco alla volta, cosa sono i miei gesti, cosa conducono, cosa ricordano, insegnano. Le nuvole si appesantiscono e l’aria si raffredda, alba dopo alba. Ho cominciato ad accendere il fuoco la sera.

venerdì 3 marzo 2023

Ritorni 4.4

Quanto sono lunghi questi giorni, e le notti senza sonno e senza stelle. Come se stessi attraversando le tenebre fuori e dentro di me. Guardo le frecce, abbandonate a terra, non ho rimesso a posto le faretre, tutto mi sembra privo di significato. Anche la sua partenza. Non ho notizie del Giocatore, a volte sento dove sta andando e cosa sta vivendo, ma ora c’è come una cortina tra i nostri cuori, un filo spezzato tra le nostre menti. Ho preso i gessetti colorati e ho tracciato ragnatele grigie e nere sui fogli trovati in un cassetto. Labirinti, forse sono labirinti nei quali non riesco a posizionarmi. Così non so se sto cercando di uscirne o sto piuttosto muovendomi verso un centro. Alla sera, prima che il fuoco si spenga, brucio i fogli disegnati e la brace assume strane forme, come se comprendesse i significati, come se li respingesse prima e li trasmutasse poi. Al mattino tolgo la cenere, ho fatto un piccolo mucchio nei campi di lupino, talvolta appoggio anche una preghiera. Al tutto, a me. A lui. Al suo ritorno. L’alba mi dice che un altro giorno ricomincia e io traccio un piccolo segno sul muro accanto all’uscio. Potrei contare ormai i tanti segni, otterrei un numero, ma esso non avrebbe nessun significato, né porterebbe comprensione o speranza. Ieri, però, è successo qualcosa di diverso. Ieri... o forse ieri l’altro... o forse sta per succedere... tutto è presente insieme, tutto è adesso, mentre prendo il gesso rosso e traccio una linea verticale a metà del foglio. Solo quella. Una linea rossa che divide la carta. Una freccia forse, prendo un gesso giallo per disegnare la punta. Verso l’alto o verso il basso... che importa quando basta ruotare il foglio. So che non lo brucerò, non l’ho bruciato, ho preso un chiodo arrugginito e l’ho fissato sulla piccola credenza di noce in cui teniamo le coppe per bere. Lì, nella notte, mi terrà compagnia. Ho sognato. La linea rossa stava scendendo dal foglio, era come un fiume che arrivava ai miei piedi. Mi sono spaventata, sembrava sangue e saliva nelle gambe. Saliva fino a sfiorare la punta delle mani che, al contatto, si accorgevano di toccare petali di rosa, ero immersa in un’acqua di rose rosse profumatissima. Damascene. Mi sono svegliata di colpo. Sono andata a toccare il disegno. Era fermo. Polvere di gesso è rimasta sulle dieta, l’ho appoggiata sulle guance, per restituire colore anche al mio viso. Poi mi sono riaddormentata ed era bello.

sabato 11 febbraio 2023

RITORNI 4.3

Una mattina, al risveglio, c’era sull’erba una brina leggera, una nebbia sottile e vaporosa che mi spinse ad aprire il baule sotto la finestra. Era pieno di doppifondi, sorrisi mentre li aprivo, seguendo antichi rituali che spostavano i listelli a incastro a scomparsa. Non mi ero mai chiesta come potesse contenere così tanti oggetti, era come se lo spazio potesse contrarsi. C’erano tre faretre, una da portare alla cinta, una sulla schiena. La terza, da agganciare alla sella del cavallo, aveva anche uno spazio per l’arco. Il Giocatore mi raggiunse, lo sguardo pensoso, mentre io ero eccitata nell’osservare questi oggetti ritrovati, che erano sempre lì, sempre pronti. Gli raccontai come le avevo ottenute, gli mostrai il segno che il Maestro aveva inciso, come protezione e sigillo. Una lingua antica e sconosciuta di cui non mi aveva mi aveva mostrato i significati. Non ero pronta, pensavo. Non era tempo, aveva detto lui. Il Giocatore attese che le emozioni si placassero, poi accese il fuoco, prese le mie mani e mi chiese: “Dov’è l’arco?” Dov’è l’arco... io non avevo mai avuto un arco, costruivo frecce, le portavo nelle mie faretre, mentre andavo nel mondo, le scambiavo con altri oggetti, barattando utilità e favori. A volte le lanciavo per testarne la velocità, le cedevo agli arcieri che ne avevano bisogno o le regalavo a chi non ne possedeva. Il Maestro aveva un arco, flessibile, leggero, potentissimo. Assorbivo ogni piccolo suo gesto quando incoccava la freccia, distendeva le braccia, fissando –si sarebbe detto- l’invisibile. Poi il sibilo leggero, l’aria tagliata dal movimento preciso e rapido. Il bersaglio. Il Giocatore mi lasciò parlare, guardando come cambiavano le mie espressioni, facendo salire le emozioni, lasciando che si disperdessero, come la schiuma delle onde. Leggeva ogni respiro, decifrando le ombre dello sguardo, come nuvole di temporali che passavano in fretta. Uno dopo l’altro. Non disse nulla. Stimolò e accolse, attese che i pensieri si incatenassero, uno dopo l’altro, che le comprensioni accendessero barlumi negli occhi. Tacqui anch’io. Stanca, confusa, colpita, affrancata. Poi dissi, sgomenta. “Io non possiedo un arco. E non ho dei bersagli.” Il Giocatore soffiò sulla candela, perché io sapessi che lui non poteva vedere quell’unica lacrima che scese sulla mia guancia e si fermò sulle labbra, con il sapore del mare. Poi, il Giocatore la asciugò con la bocca. E fu notte. Pensieri e sogni si intrecciarono nel buio, interrogativi ai quali il sonno ristoratore avrebbe voluto trovare risposte. Io che non volevo usare l’arco, non volevo ferire, non avevo bersagli. Io che costruivo frecce per altri, o per comporre inaspettati mandala, o segnalare direzioni da seguire. All’alba, gli occhi sgranati a fissare la parete, capii che stavo solo giustificando una assenza. Stavo guardando indietro per dire che tutto andava bene e sarebbe continuato per sempre. Invece no, il percorso era tragicamente incompleto. Mancava l’arco. Mi mancava. Mi voltai verso il Giocatore, per raccontare, ma lui era partito. Senza dire, spiegare, avvisare. Ero rimasta sola.

venerdì 27 gennaio 2023

RITORNI 4.2

“Perché guardare le frecce, ora?” chiesi al Giocatore. “Osservarle, ricordarle, toccarle, scoprirle... tante azioni da compiere per capire profondamente cosa rappresentano e cosa comportano.” La terza freccia aveva una punta a rombo. Mi commossi nello sfiorare la cuspide dorata, aveva un’asta di ciliegio e conservava un profumo di mobili antichi e di cera appena passata. Le alette a parabolica incutevano rispetto, indicavano l’estrema precisione, forme armoniose e perfette. Bellissime. Mi sentivo stanca, improvvisamente. Troppi pensieri, troppa concentrazione o, forse, l’intensità dei significati e dell’abilità costruttiva. Allora non sapevo ancora nulla delle frecce. Mio padre mi sorprese, un giorno, e restò senza parole per quegli oggetti a lui misteriosi, che stavo ordinando in un telo bianco, prima di riporli in un angolo nascosto della mia stanza. Sapeva dei miei incontri con il Maestro, ma non ne conosceva i contenuti né le azioni. Io mi sentii in imbarazzo per ciò che lui ignorava e io già conoscevo. Dissi poche parole, cercando di minimizzare quei giochi, lui finse di credermi e di non capire. Ma forse non capiva davvero. “Ancora una freccia” disse il Giocatore, posando la sua mano sul braccio. Viburno. Mia madre aveva raccolto un ramo da un albero molto alto, si era arrampicata tra il fogliame abbondante per portarmelo, prima che i frutti maturassero completamente. L’avevo trovato in fondo al letto, al risveglio di un mio compleanno. Era stato il suo modo di dirmi che potevo continuare a seguire il maestro, anche se non mi avrebbe insegnato a danzare, come lei avrebbe voluto. Per lei. “Ogni freccia è ricordo e conquista.” dissi al Giocatore. “E bellezza” aggiunse lui. Rientrammo in casa quando le luci del giorno si allontanarono dalle onde del lago. Quella notte restammo silenziosi e abbracciati, ma era come se il dialogo continuasse nel buio e senza parole. Sapevamo entrambi che avremmo censito tutte le mie frecce, le avremmo prese in mano e percorse con le dita, una dopo l’altra, per reimpararne la struttura, la linea, la robustezza, la tipicità, il senso. Non sarebbe stato facile e non c’era un tempo prestabilito, solo il battito di un ritmo interiore per attraversare l’esperienza, senza trascurare nulla. Così non so dire quanti furono i giorni, o le stagioni, in cui rivedemmo le frecce. Ritrovammo anche quelle non completate, scoprimmo penne intatte e rami asciutti e non ancora scolpiti. Un patrimonio. Un patrimonio, ci accorgemmo che era così...

domenica 15 gennaio 2023

RITORNI 4.1

Alla prima luce dell’alba avevo allungato la mano e percepito la mancanza. Il giocatore si era già alzato. Era la prima volta che lo faceva –alzarsi da solo- da quando ci eravamo ritrovati. Sentii un attimo di incertezza, poi mi mossi. L’acqua gelida mi scosse, presi i nastri e i pettini e feci le trecce ai miei lunghi capelli neri. Non era più tempo per i boccoli danzanti, pensai, mentre lo sguardo si allungava verso il lago, dove la sagoma del Giocatore ripeteva i gesti della grazia e del risveglio. Quando uscii, l’aria mi diede i brividi, l’aria fresca, pensai, o forse ero io. Mi avvicinai silenziosa, i piedi sembravano solo sfiorare la terra, perché non c’era pesantezza in me, solo la consapevolezza che il tempo era cambiato. O giunto, chissà. Il Giocatore mi guardò con un’espressione dolce e dubbiosa, i miei occhi gli restituirono forza ed equilibrio. Sono pronta, pensai, o forse lo dissi, o forse lui lo capì. Aveva portato con sé qualcosa, capii subito che mi avrebbe guidato in una nuova conoscenza, in una scoperta, in una condivisione. Cominciammo. Scostai la tela e vidi la prima freccia. I ricordi mi assalirono, portandomi altrove. Era una freccia d’acero, un legno chiaro e leggero, che avevo lavorato con facilità e precisione. L’asta era flessibile e sottile, l’avevo affilata nella tarda primavera, quando pochi erano gli sbalzi di temperatura, e l’avevo impennata di un’ala destra, la prima oca in arrivo dal sud. Era una freccia bianca, che mi ricordava dei miei primi passi nella foresta, del Maestro che mi insegnava, delle mie piccole mani che incidevano la cocca. Il Giocatore mi mostrò un’altra freccia. La freccia rossa era fatta di sanguinella, di cui aveva conservato il colore delle foglie d’autunno. I fiori bianchi e profumati dell’arbusto, bottinati dalle api, ricordavano la giovinezza spensierata...

giovedì 5 gennaio 2023

Perché le storie

Le storie portano a esplorare ampi spazi di noi stessi e a dare forma a parti che normalmente tacciono o non sono ascoltate. Le storie parlano di tempi passati e futuri, condensandoli nel qui e ora, dando l’intensità delle esperienze tutte insieme, spezzando le categorie e le deduzioni, cambiando ordini e priorità. Per questo, anche per questo sono così potenti. Raccontare, dare movimento alle immagini che sono specchio di ciò che si prova, fa defluire il sangue, ripulisce il corpo, crea un nuovo terreno fertile, occasioni per accorgersi di noi. Il Giocatore è un moltiplicatore di storie, ogni volta che scegliamo una carta apriamo una finestra sui mondi interiori, lasciando che i disegni sollecitino quanto di noi deve essere rivelato, quanto preme per esprimersi. I RITORNI del Giocatore sono le storie che illustrano un passaggio di trasformazione, che, dopo il libro, ha poi condotto alle nuove dodici carte. Ne posteremo ancora uno, come dono per il nuovo anno.