venerdì 27 gennaio 2023

RITORNI 4.2

“Perché guardare le frecce, ora?” chiesi al Giocatore. “Osservarle, ricordarle, toccarle, scoprirle... tante azioni da compiere per capire profondamente cosa rappresentano e cosa comportano.” La terza freccia aveva una punta a rombo. Mi commossi nello sfiorare la cuspide dorata, aveva un’asta di ciliegio e conservava un profumo di mobili antichi e di cera appena passata. Le alette a parabolica incutevano rispetto, indicavano l’estrema precisione, forme armoniose e perfette. Bellissime. Mi sentivo stanca, improvvisamente. Troppi pensieri, troppa concentrazione o, forse, l’intensità dei significati e dell’abilità costruttiva. Allora non sapevo ancora nulla delle frecce. Mio padre mi sorprese, un giorno, e restò senza parole per quegli oggetti a lui misteriosi, che stavo ordinando in un telo bianco, prima di riporli in un angolo nascosto della mia stanza. Sapeva dei miei incontri con il Maestro, ma non ne conosceva i contenuti né le azioni. Io mi sentii in imbarazzo per ciò che lui ignorava e io già conoscevo. Dissi poche parole, cercando di minimizzare quei giochi, lui finse di credermi e di non capire. Ma forse non capiva davvero. “Ancora una freccia” disse il Giocatore, posando la sua mano sul braccio. Viburno. Mia madre aveva raccolto un ramo da un albero molto alto, si era arrampicata tra il fogliame abbondante per portarmelo, prima che i frutti maturassero completamente. L’avevo trovato in fondo al letto, al risveglio di un mio compleanno. Era stato il suo modo di dirmi che potevo continuare a seguire il maestro, anche se non mi avrebbe insegnato a danzare, come lei avrebbe voluto. Per lei. “Ogni freccia è ricordo e conquista.” dissi al Giocatore. “E bellezza” aggiunse lui. Rientrammo in casa quando le luci del giorno si allontanarono dalle onde del lago. Quella notte restammo silenziosi e abbracciati, ma era come se il dialogo continuasse nel buio e senza parole. Sapevamo entrambi che avremmo censito tutte le mie frecce, le avremmo prese in mano e percorse con le dita, una dopo l’altra, per reimpararne la struttura, la linea, la robustezza, la tipicità, il senso. Non sarebbe stato facile e non c’era un tempo prestabilito, solo il battito di un ritmo interiore per attraversare l’esperienza, senza trascurare nulla. Così non so dire quanti furono i giorni, o le stagioni, in cui rivedemmo le frecce. Ritrovammo anche quelle non completate, scoprimmo penne intatte e rami asciutti e non ancora scolpiti. Un patrimonio. Un patrimonio, ci accorgemmo che era così...

domenica 15 gennaio 2023

RITORNI 4.1

Alla prima luce dell’alba avevo allungato la mano e percepito la mancanza. Il giocatore si era già alzato. Era la prima volta che lo faceva –alzarsi da solo- da quando ci eravamo ritrovati. Sentii un attimo di incertezza, poi mi mossi. L’acqua gelida mi scosse, presi i nastri e i pettini e feci le trecce ai miei lunghi capelli neri. Non era più tempo per i boccoli danzanti, pensai, mentre lo sguardo si allungava verso il lago, dove la sagoma del Giocatore ripeteva i gesti della grazia e del risveglio. Quando uscii, l’aria mi diede i brividi, l’aria fresca, pensai, o forse ero io. Mi avvicinai silenziosa, i piedi sembravano solo sfiorare la terra, perché non c’era pesantezza in me, solo la consapevolezza che il tempo era cambiato. O giunto, chissà. Il Giocatore mi guardò con un’espressione dolce e dubbiosa, i miei occhi gli restituirono forza ed equilibrio. Sono pronta, pensai, o forse lo dissi, o forse lui lo capì. Aveva portato con sé qualcosa, capii subito che mi avrebbe guidato in una nuova conoscenza, in una scoperta, in una condivisione. Cominciammo. Scostai la tela e vidi la prima freccia. I ricordi mi assalirono, portandomi altrove. Era una freccia d’acero, un legno chiaro e leggero, che avevo lavorato con facilità e precisione. L’asta era flessibile e sottile, l’avevo affilata nella tarda primavera, quando pochi erano gli sbalzi di temperatura, e l’avevo impennata di un’ala destra, la prima oca in arrivo dal sud. Era una freccia bianca, che mi ricordava dei miei primi passi nella foresta, del Maestro che mi insegnava, delle mie piccole mani che incidevano la cocca. Il Giocatore mi mostrò un’altra freccia. La freccia rossa era fatta di sanguinella, di cui aveva conservato il colore delle foglie d’autunno. I fiori bianchi e profumati dell’arbusto, bottinati dalle api, ricordavano la giovinezza spensierata...

giovedì 5 gennaio 2023

Perché le storie

Le storie portano a esplorare ampi spazi di noi stessi e a dare forma a parti che normalmente tacciono o non sono ascoltate. Le storie parlano di tempi passati e futuri, condensandoli nel qui e ora, dando l’intensità delle esperienze tutte insieme, spezzando le categorie e le deduzioni, cambiando ordini e priorità. Per questo, anche per questo sono così potenti. Raccontare, dare movimento alle immagini che sono specchio di ciò che si prova, fa defluire il sangue, ripulisce il corpo, crea un nuovo terreno fertile, occasioni per accorgersi di noi. Il Giocatore è un moltiplicatore di storie, ogni volta che scegliamo una carta apriamo una finestra sui mondi interiori, lasciando che i disegni sollecitino quanto di noi deve essere rivelato, quanto preme per esprimersi. I RITORNI del Giocatore sono le storie che illustrano un passaggio di trasformazione, che, dopo il libro, ha poi condotto alle nuove dodici carte. Ne posteremo ancora uno, come dono per il nuovo anno.