domenica 15 gennaio 2023

RITORNI 4.1

Alla prima luce dell’alba avevo allungato la mano e percepito la mancanza. Il giocatore si era già alzato. Era la prima volta che lo faceva –alzarsi da solo- da quando ci eravamo ritrovati. Sentii un attimo di incertezza, poi mi mossi. L’acqua gelida mi scosse, presi i nastri e i pettini e feci le trecce ai miei lunghi capelli neri. Non era più tempo per i boccoli danzanti, pensai, mentre lo sguardo si allungava verso il lago, dove la sagoma del Giocatore ripeteva i gesti della grazia e del risveglio. Quando uscii, l’aria mi diede i brividi, l’aria fresca, pensai, o forse ero io. Mi avvicinai silenziosa, i piedi sembravano solo sfiorare la terra, perché non c’era pesantezza in me, solo la consapevolezza che il tempo era cambiato. O giunto, chissà. Il Giocatore mi guardò con un’espressione dolce e dubbiosa, i miei occhi gli restituirono forza ed equilibrio. Sono pronta, pensai, o forse lo dissi, o forse lui lo capì. Aveva portato con sé qualcosa, capii subito che mi avrebbe guidato in una nuova conoscenza, in una scoperta, in una condivisione. Cominciammo. Scostai la tela e vidi la prima freccia. I ricordi mi assalirono, portandomi altrove. Era una freccia d’acero, un legno chiaro e leggero, che avevo lavorato con facilità e precisione. L’asta era flessibile e sottile, l’avevo affilata nella tarda primavera, quando pochi erano gli sbalzi di temperatura, e l’avevo impennata di un’ala destra, la prima oca in arrivo dal sud. Era una freccia bianca, che mi ricordava dei miei primi passi nella foresta, del Maestro che mi insegnava, delle mie piccole mani che incidevano la cocca. Il Giocatore mi mostrò un’altra freccia. La freccia rossa era fatta di sanguinella, di cui aveva conservato il colore delle foglie d’autunno. I fiori bianchi e profumati dell’arbusto, bottinati dalle api, ricordavano la giovinezza spensierata...

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